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Parrocchiale di Sant'Antonio Abate
La paternità del progetto è attribuita per la prima volta a Francesco Gallo dell'allora Intendente della provincia di Mondovì Lazzaro Corvesy; in occasione della sua visita a Priero, alla metà del settecento, egli osservava a proposito: "la chiesa parrocchiale (…) sotto il titolo di S.Antonio Abate, sono pochi anni che fu fabbricata: questa e d'ampiezza assai ragguardevole, d'una sola navata con sette altari, disegno del fu Sig. Architetto Gallo di Mondovì".
Altri brevi cenni sono riferibili al Chiecchio e al Bonino, ma l'attribuzione certa del progetto si deve a Nino Carboneri che nella sua monografia sull'architetto espone i risultati della ricerca condotta soprattutto nell'archivio parrocchiale di Priero.
La decisione di costruire un nuovo edificio per il culto maturava agli inizi del XVIII secolo, durante la visita del vescovo di Alba, Monsignor Giuseppe Roero in data 11 ottobre 1700, il quale "osservando che tutto l'edificio della chiesa parrocchiale si trovava in uno stato indecentissimo, esortò gli ufficiali e gli amministratori della parrocchia a riformarlo quanto prima, in maniera, che la chiesa fosse proporzionata alla qualità del luogo".
Oltre al pessimo stato di conservazione, questa testimonianza allude in filigrana all'obsolescenza spaziale e funzionale della chiesa preesistente a tre navate e alla necessità di costruirne una più consona sia per accogliere la comunità dei fedeli che per ospitare degnamente le spoglie di San Candido, donate dal marchese di Priero Giuseppe Lodovico Turinetti,
La documentazione relativa alle vicende costruttive della nuova fabbrica è molto scarsa, tuttavia un valido supporto conoscitivo è rappresentato dalla Memoria delle spese fattesi nella Costruzione della Chiesa parrocchiale di Priero da questa Comunità ed altri particolari estratte e scritte da me Giorgio Ferreri Arciprete da memorie esistenti nell'Archivio d'essa Comunità, consultata a suo tempo da Carboneri.
Sulla base delle informazioni contenute in questo manoscritto egli ha ricostruito le fasi di trasformazione dell'edificio a partire dal 1716, anno in cui aveva inizio la demolizione della chiesa preesistente mentre nello stesso anno il capomastro Santo Casella e l'aiuto Giovanni Maria Mazzi, luganesi, "del luogo di Framosca ", si recavano due volte a Mondovì per riferire a Francesco Gallo sullo stato di avanzamento dei lavori per ottenere ulteriori suggerimenti e proposte.
I viaggi compiuti dai capimastri a Mondovì fanno presumere che l'architetto non si trasferì mai in loco per sovrintendere ai lavori, ipotesi avanzata dal Carboneri stesso che concede poco spazio alla Parrocchiale di Priero nella sua monografia su Francesco Gallo limitandosi ad osservare "assai limitati furono i rapporti col Gallo per questa Chiesa", All'Architetto è tuttavia riferibile con certezza la paternità dei disegni per i quali aveva ricevuto una quietanza di pagamento nel luglio 1717.
Nell'anno successivo veniva firmato il contratto per le fornaci di mattoni tra la comunità e Martino Ferragutti, "fornasero di Puria stato Luganese" che documenta nuovamente l'apporto di maestranze luganesi e il loro ruolo nei cantieri del Gallo, come ha sottolineato di recente Andreina Griseri..
I lavori potevano essere considerati sostanzialmente conclusi nel 1721 con la "stabilidura (intonacatura) della volta a vella del coro e suoi triangoli (…) delle 4 ezze lesene e dell'arcone che le sostengono".
Della chiesa preesistente nulla venne conservato ad eccezione del campanile e "della muraglia vecchia che resta compresa nella fondazione della facciata"
Recenti studi hanno ricostruito l'impianto della primitiva fabbrica orientata a est , di cui restano gran parte del perimetro murario in ciottoli di fiume a ridosso dell'attuale facciata, avvalendosi anche delle informazioni desunte da un manoscritto del 1597 che offre un'interessante descrizione del Campanile " quadrato in modo di torre, alto con la sua piramide alta in cima e bello anticho con quattro torrette sopra ogni cantone per ornamento di detta piramide , et con due campane grosse in cima", secondo le caratteristiche architettoniche conservatesi fino ad oggi.
Il nuovo orientamento della Chiesa, concepito ribaltando di 90 gradi l'asse compositivo principale dell'edificio preesistente , era verosimilmente connesso all'esigenza di lasciare uno spazio congruente in corrispondenza della facciata, anche se l'attuale piazza è il risultato degli interventi messi in atto un secolo più tardi, quando nel 1839 si decise di abbattere l'intero isolato antistante l'edificio.
La scomparsa dei disegni autografi dell'Architetto non aiuta a comprendere la rispondenza tra l'opera edilizia e l'idea progettuale, tuttavia l'impianto spaziale, del tipo ad aula unica con cappelle laterali, rimanda a soluzioni ricorrenti nella produzione del Gallo caratterizzate da una marcata dilatazione maggiore sull'asse trasversale, quasi a formare il braccio di una croce sormontata, in questo caso da una volta a vela unghiata , anziché da una copertura a cupola che qui compare solo nella parte absidale..
L'architettura dello spazio interno è arricchita da un apparato decorativo che combina sapientemente l'uso dello stucco e dei cicli affrescati con soggetti religiosi in corrispondenza delle volte, mentre le pareti sono scandite da lesene composite sormontate dalle volte a vela unghiate.
La facciata è molto sobria e la presenza nel paramento murario delle buche pontaie fa supporre che sia rimasta a rustico in attesa di un'intonacatura che non fu mai attuata; due ordini sovrapposti di piatte lesene con capitello rustico predisposti a raccogliere gli ornamenti mai realizzati , scandiscono il prospetto dalle volute laterali fino al frontone triangolare sormontato in origine da "vasi o piramidi" in cotto la cui presenza è documentata nel 1718 , che tuttavia sono scomparsi in epoca imprecisata.
Siamo di fronte a una concezione compositiva d'insieme che rimanda alla produzione giovanile dell'architetto, caratterizzata da un'interpretazione in chiave bidimensionale.
Testo integralmente tratto da Francesco Gallo 1672-1750 un architetto ingegnere tra Stato e Provincia - Politecnico di Torino sede di Mondovì Seconda Facoltà di Architettura - Dipartimento Casa-città, a cura di Vera Comoli e Laura Palmucci, Torino, Novembre 2000, Celid.
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